mercoledì 25 marzo 2009

SCHELETRI



In certi antichi disegni di Aldo Rossi compaiono delle lische di pesce.
Sono i primi di una lunga serie di disegni che rappresentano scheletri ed ossa, che diventano segno di una ossessione osteologia descritta nell’Autobiografia Scientifica: “Questa ricerca mi commuove ancora nei reperti archeologici, nel materiale fittile, negli utensili, nei frammenti dove la pietra antica si confonde con l’osso e dove nell’osso si è perso il disegno dello scheletro. Questo amore per il frammento e per la cosa che ci lega ad oggetti apparentemente insignificanti a cui attribuiamo la stessa importanza che si attribuisce solitamente all’arte”
.
Un interesse che più tardi si manifesterà attraverso una serie di disegni di cavalli e di scheletri di cavalli, o nella passione per i ritratti di anatomia, o nel San Carlone (vivi)sezionato per scoprirne l’interno vivente. Il progetto per il cimitero di Modena resta di fianco a quei disegni. Potremmo anzi dire che la lisca, la struttura dello scheletro, costituisca il principio del progetto da più punti di vista: nel senso del comune riferimento alla morte, nel senso della diretta analogia formale, nel senso del confine, del rinvio allo scheletro come struttura e costituzione delle cose.
Gli edifici abbandonati e convertiti in rovina:
questa immagine è importante nel progetto di Modena perché evocano la rappresentazione della morte, coincidono con la trama muraria e l’ossatura dell’edificio, e dunque con la sua idea. Tutto il progetto di Modena trasmigra entro la metafora del “gioco dell’oca” cimiteriale.
Il cilindro verso il cielo, gli ossari, la casa dei morti.

La casa che perde la vita ritorna in qualche modo ad una essenza e ad una nudità.
Per questo l’architettura abbandonata si identifica con la fine, ma anche con la speranza di un progetto.
L’ossessione di Rossi per le ossa e gli scheletri non è legata solo al senso della morte, ma corrisponde ad una idea dell’architettura e dell’architetto.
Lo scheletro è l’essenza del corpo.

venerdì 20 marzo 2009

IL DISEGNO E L'ARCHITETTO

Ho inteso sempre il disegno “manuale” come momento di riflessione sulle cose, come strumento indispensabile per capire.
Per l’architetto è linguaggio trasfigurato, è una sorta di iconografia del pensiero, strumento di indagine e strumento attraverso cui misurare e misurarsi con la realtà.
Diventa sostanza pensata e raffigurata oppure raffigurazione di sostanza vista e trascritta scientificamente con un segno, un segno che attua una astrazione del soggetto visto.
Si tratta del linguaggio mediante cui l’architettura si manifesta in qualche modo.
La rappresentazione di una architettura nel disegno concerne una operazione conoscitiva e l’oggetto architettonico rappresentato: è la esibizione programmatica di procedimenti atti ad una definizione formale.
Il disegno allora è fatto di pensiero e di rappresentazione di un soggetto mediante un segno intelleggibile, mediante un procedimento scientifico.
E’ il momento di costruzione di un’idea, una sorta di fondamento concettuale.

Con il disegno si è in presenza di se stessi.

C’è una solitudine nel disegno.

C’è un carattere quasi segreto e privato nel disegnare. In qualche modo questa solitudine coincide con il rapportarsi alla cultura, coincide con il porre se stessi come tramite che astrae, semplifica ed arriva a proporre una traccia di emersioni e di confronti sopra il foglio bianco.

Il disegno è il medium.
Il luogo di rappresentazione è dato dall’entità fisica e delimitata del foglio, lo spazio entro cui vive e trova senso la rappresentazione, attraverso una unicità indiscutibile. Sopra il supporto il soggetto trova una organizzazione, si pone in relazione con l’osservatore.

Disegno ed architettura si affiancano e talvolta non si vedono tra loro.
Senza dubbio però la questione del disegno è la questione del mestiere stesso dell’architetto.